Sulle soglie del sogno 01

Parte prima 01

Alla mia madre
che mi ha accompagnato con i suoi silenziosi sacrifici e la profonda fiducia in ogni passo che ho compiuto.
✍️ Una parola ai lettori e alle lettrici
– Questa storia si svolge nella Siria degli anni ’70, in un’epoca sospesa tra profondi cambiamenti sociali e una rigidità politica soffocante.
Racconta la vita di un giovane di campagna, Numan, che cammina sul sottile confine tra tradizione e modernità, tra i desideri della famiglia e i sogni del cuore, alla ricerca della propria strada in un mondo incerto e mutevole.
I luoghi in cui si dipanano gli eventi — dal piccolo negozio di tessuti nei vicoli antichi di Damasco fino alle strette strade del suo villaggio natale — non sono semplici sfondi immobili, ma specchi di tensioni interiori nascoste.
Il contrasto tra città e campagna, tra sapere e necessità, tra libertà e sottomissione, forma lo sfondo emotivo e politico di questo racconto.
“Sulle soglie del sogno” non è un manifesto politico, eppure tra le sue pagine pulsa un’ombra delicata di una società che educa i suoi giovani nell’incertezza e nell’ansia.
È la storia di chi cerca la propria strada, e di una speranza che resiste a tutto ciò che vorrebbe soffocarla o spegnerla.
Vi invito ad ascoltare questi mondi con cuore aperto e occhi attenti — potreste riconoscervi in qualcosa che appartiene alla vostra memoria, lontano… e insieme così vicino.
–– Numan Albarbari
📖

Prima di cominciare
Numan tornò a casa dopo più di una settimana intensa di esami, trascorsa nella sua scuola privata nel cuore della capitale Damasco, con la stanchezza ancora impressa nei suoi occhi. Come se i giorni gli avessero sottratto una serenità che solo al ritorno a casa riusciva a percepire.
Il suo rientro era un’attesa silenziosa, sull’orlo di un momento decisivo, in cui ascoltare il risultato prima ancora che venisse annunciato.
Qui, tra le soglie che separano la città dalla campagna, la luce sembra rallentare prima di illuminare, e l’anima esita prima di cadere nel proprio destino.
Non sono soltanto le distanze geografiche a dividere questi due mondi, ma un abisso emotivo profondo, invisibile, percepibile in ogni battito del cuore.
La città era stata, per lui, il campo di battaglia dello studio e degli esami per tutto quell’anno, il cuore del confronto con se stesso.
La campagna, invece, rappresentava il ritorno all’affetto, ai ricordi, all’essenza semplice della vita.
Ma stavolta il suo cuore portava qualcosa di nuovo, un sentimento indefinito mai provato prima: un intreccio di incertezza sconcertante e di speranza delicata, come un filo di luce che filtra nell’oscurità del dubbio.
Il tramonto nella sua città, Duma, nel cuore della campagna damascena, scivolava sulla calda luce serale, come a preparargli la via del ritorno. Le luci dei vicoli si accendevano timide, illuminando un percorso discreto verso il quartiere della piazza, prima di dissolversi lentamente.
Nonostante la stanchezza che mordeva prima la mente e poi il corpo, dentro di lui c’era un desiderio difficile da spiegare.
Appena varcata la soglia di casa, la voce di sua madre gli giunse come una melodia a lungo attesa:
«Numan! Finalmente sei tornato, gioia dei miei occhi… Dimmi, ti ha stancato quell’esame?»
Un sorriso stanco gli si disegnò sul volto, ma gli occhi brillavano di una gioia discreta, nascosta. Sussurrò a bassa voce:
«Sì… è stato faticoso, mamma, ma… non so… sento che qualcosa dentro di me è cambiato… Il successo sembra vicino, lo sento!»
Il volto della madre si illuminò come una vecchia lampada a olio nell’oscurità dell’anima. Avanzò verso di lui, abbracciandolo con tutto l’affetto che solo una madre sa dare.
Sussurrò mentre lo stringeva:
«Sei il nostro eroe, Numan… sei il nostro orgoglio. Abbiamo faticato e ti abbiamo visto crescere nei nostri sogni, abbiamo pazientato finché questo momento non è arrivato.
Credo in te, e so che raggiungerai qualcosa che merita il tuo impegno e la tua nobiltà.»
Le sue parole pulsavano di una fede quasi platonica nel bene assoluto; la madre si trasformava nello specchio del sogno, nell’asse della speranza, nel centro della sua gravità emotiva.
In quell’istante, quando lo abbracciò e disse: «Sei il nostro eroe», il tramonto non era più uno sfondo lontano, ma un momento esistenziale, in cui sentì il vero significato della vita.
Le sue parole scivolarono nel cuore di Numan, scuotendolo profondamente. Per tutta la vita lei aveva creduto in lui, nelle sue capacità, nei suoi sogni. Aveva riposto tutte le sue speranze in quel figlio, nonostante le difficoltà e le asperità della vita.
In quell’istante apparve anche suo padre sulla soglia, attirato dai rumori. Indossava i suoi semplici abiti casalinghi, come era solito fare nei giorni di riposo.

Ma i lineamenti del padre parlavano di orgoglio e del calore di un uomo che vede nel figlio la prosecuzione delle proprie speranze.
Si avvicinò a lui, con voce bassa ma piena di fierezza:
«Sono orgoglioso di te, Numan… ma so che non ti fermerai qui, vero?»
Numan alzò lo sguardo verso di lui, poi verso le mani di sua madre che continuavano ad abbracciarlo, e sentì davvero di trovarsi sull’orlo della decisione più importante della sua vita… realizzare il suo sogno, e insieme quello della sua famiglia.
Seguì un momento di silenzio intenso, poi parlò con voce piena di certezza:
«Finalmente ho deciso, papà e mamma… Continuerò i miei studi dopo i risultati, e mi preparerò per entrare alla Facoltà di Ingegneria.
Non sono più indeciso… darò tutto ciò che posso, e un giorno sarò… il migliore in questo percorso.»
I loro volti si illuminarono di gioia. Non era solo l’annuncio di una scelta scolastica, ma della conquista di sé, della maturità del sogno, della nascita della “decisione”.
I genitori si scambiarono uno sguardo silenzioso, poi il padre disse:
«Allora, Numan… siamo con te in ogni passo che farai. Questo è il tuo sogno, e siamo orgogliosi di te, e di tutto ciò che diventerai.»
Numan sorrise, e in quel sorriso vibrava un senso di salvezza.
La sua decisione apparteneva ormai a lui, e insieme ai cuori dei suoi genitori. Negli occhi di entrambi si leggeva un piacere nascosto, come se stessero ricevendo un messaggio di sopravvivenza dall’annegamento.
È un sogno che nasce da un individuo, ma che si allarga fino a includere tutti.
Forse, quella decisione sarà l’inizio di una serie di sfide, di incontri che cambieranno il suo percorso, o di cadute che riformeranno la sua immagine di sé.
Ma una cosa era certa: quel momento era il primo passo sulle soglie del sogno, e sarebbe rimasto sempre un punto di riferimento a cui tornare per dire:
«È qui che ho cominciato.»
Poi aggiunse:
«Grazie… tutto ciò di cui ho bisogno è il vostro sostegno e le vostre preghiere.»
E in quel momento, tra il calore della famiglia, Numan sentì di essere pronto a cambiare la propria vita, non solo per sé, ma anche per irradiare luce nel cielo di chi ama, come ha sempre fatto… scegliendo di camminare verso il meglio.
Introduzione
Il negozio si forma nella memoria di Numan non solo come luogo materiale di lavoro, ma come una struttura emotiva solida, simile a un piccolo tempio dove si accumulano ricordi e respirano la memoria, la storia e il lavoro instancabile.
I tessuti, con la loro ruvidità e morbidezza, con i loro colori e fili, incarnavano la dualità della vita vissuta da Numan: tra sogno e realtà, tra ambizione e necessità.
Negli angoli di quel vecchio negozio, nel cuore di Damasco, tra casse di legno e cartoni pieni di abiti — alcuni raccolti con cura in sacchi di iuta ruvida, altri che pendevano morbidi dai bordi degli scaffali — iniziava la storia di un giovane all’alba della vita.
Quel negozio, situato nel mercato di Al-Hariqa, non era soltanto un luogo di lavoro estivo; era una stazione dove rifornirsi di speranza, per proseguire un percorso verso un futuro sognato.
Numan si avvicinava al compimento del ventunesimo anno. Nato nel cuore della povera e devota campagna, era il maggiore tra i suoi fratelli, il primo nipote dei nonni e l’unico a proseguire gli studi in una casa dove l’istruzione non era una strada già tracciata, ma un viaggio tra le asperità e la durezza della vita.
I suoi genitori non erano istruiti: il padre, barbiere, lavorava duramente in un piccolo negozio, il cui reddito era appena sufficiente a sfamare undici bocche.
La madre passava le ore tra luce del mattino e ombre del tramonto, chinata sulla macchina da ricamo tradizionale “al-Aghbani”, tessendo motivi damasceni autentici sui tessuti, tentando di colmare ciò che mancava per le spese della casa.
Fin dalla prima infanzia, Numan aveva compreso che il cammino dell’istruzione non si sarebbe aperto solo grazie a buone intenzioni, ma era un sentiero impervio, fatto di sacrifici e costellato da spese e difficoltà crescenti.
Era un percorso impegnativo, che richiedeva risorse che un giovane di famiglia laboriosa non poteva permettersi.
Perciò iniziò a lavorare presto, subito dopo la scuola primaria, per provvedere a se stesso e assicurarsi i mezzi per proseguire il percorso educativo.
Da quell’estate, si trovò immerso in un mestiere che non gli apparteneva, distante dai suoi sogni, ma era l’unica via disponibile, dato che non possedeva il lusso di scegliere o sperimentare.
Lavorava non per desiderio, ma per necessità pressante, per poter continuare gli studi secondari e, in seguito, quelli superiori.
Tuttavia, quell’estate era diversa: aveva scelto di lavorare presso Hajj Abu Mahmoud.
Abu Mahmoud era un uomo anziano, austero e riservato, che non derogava alla routine quotidiana.
Era un uomo che venerava l’ordine, non si affidava facilmente ai numeri e non si sentiva sicuro di nessuna operazione commerciale o contabile che non fosse annotata e organizzata con carta e penna, anche se avrebbe potuto ricordarla a mente.
Ogni mattina entrava nel negozio alle otto precise, ispezionava la pulizia, controllava l’ordine dei tessuti, curava i dettagli e poi annotava e dettava al suo assistente il piano di lavoro quotidiano del negozio.
Era passato un mese dall’inizio del lavoro di Numan con Hajj Abu Mahmoud, unico dipendente di quel negozio, dopo aver sostenuto gli esami del terzo anno di scuola superiore. In breve tempo aveva dimostrato una capacità sorprendente, notata da tutti coloro che lo circondavano.
La sua unica motivazione era semplice: riuscire, eccellere, entrare all’università e cambiare il proprio destino, magari regalando un domani migliore alla sua famiglia.
Quando arrivarono i risultati, Numan risultò tra i promossi. Non era tra i primi della classe, ma aveva superato l’esame con successo.
Anche se il successo non era stato esattamente come sperava, era sufficiente per mettere il primo piede sul cammino desiderato.
Entrò al negozio quella mattina con il libretto dei voti in mano, negli occhi una mescolanza di tensione e gioia.
Un dubbio pungente si agitava nel suo cuore:
“Questi voti sono sufficienti? Si può davvero chiamare successo? È questo il risultato giusto per tutti gli sforzi fatti finora?”
Ma una voce calda dentro di lui sussurrò:
“Sei l’unico in famiglia ad aver seguito gli studi. Ogni voto in questo libretto è un vero traguardo per te.”
Abu Mahmoud lesse in silenzio il libretto, poi un piccolo sorriso si aprì sulle sue labbra:
«Congratulazioni per il successo.»
Allungò la mano verso la cassaforte e tirò fuori tre banconote da cento lire, che mise nella tasca di Numan:
«Te lo meriti…!»
Poi si fermò un attimo e aggiunse, come ordinandogli:
«Prima vai al negozio di Signor Abu Ali in Piazza al-Marja, compra due piatti dei migliori dolci e digli che vieni da parte mia, così sceglierà ciò che si addice a questo successo. Festeggeremo noi con i vicini, e porta l’altro a casa per festeggiare con la tua famiglia come si deve.»
Quelle trecento lire valevano un mese intero di lavoro.
Mentre camminava verso la piazza, un pensiero lo sfiorò: “Spendere tutto un mese di lavoro in un solo giorno?”
Ma presto scacciò il dubbio, ricordando che il padrone aveva deciso e che festeggiare il successo non era più un lusso, ma un meritato riconoscimento.
Tornò con tre scatole di dolci damasceni e le posò sul tavolo del negozio. Abu Mahmoud sorrise:
«E prima di aprirle… prendi questo per te.»
Dalla cassaforte tirò fuori altre tre banconote e gliele consegnò sorridendo.
«Ma maestro… è troppo!» disse Numan, stupito.
«No, padrone Numan, non è troppo per chi ha avuto successo e si è distinto. Hai reso felice il mio cuore… quanto avrei desiderato da giovane rendere felice quello dei miei genitori con il mio successo, come hai fatto oggi tu, e non ci ero mai riuscito.»
Per la prima volta, Abu Mahmoud aprì il suo cuore. Uscì dal silenzio calcolato, rivelando una fragilità umana che aveva sempre nascosto.
Quando disse: «Quanto avrei voluto rendere felici i miei genitori con un successo simile a questo… e quante volte ci ho provato! Ma non ci sono mai riuscito», sembrava riscrivere il tempo. Il suo passato scorreva leggero dentro la storia di Numan, rivelandogli una versione di sé che non aveva mai conosciuto.
Così, quella decisione di festeggiare non era un semplice momento di gioia effimera, ma un simbolo: il vecchio negozio, nel cuore di un mercato antico, si trasformava in una piazza di celebrazione della crescita umana, non per una vendita o un guadagno materiale.
Hajj Abu Mahmoud si alzò, dicendo:
«Andiamo, invitiamo qualche vicino e festeggiamo come si deve.»
E in un giorno d’estate a Damasco, il vecchio negozio di tessuti avrebbe celebrato non un affare, ma un piccolo sogno che iniziava a crescere… con Numan, il ragazzo di campagna che faceva il primo passo verso un futuro che da tempo attendeva.
In quel momento entrò un uomo sulla quarantina, vestito con un completo nero, camicia grigia e cravatta sfumata dal grigio al nero.
Con lui c’era una ragazza dal viso chiaro, circa coetanea di Numan, con una gonna nera corta, un maglioncino grigio a maniche corte e tra le mani un pezzetto di tessuto.
L’uomo salutò con voce pacata:
«Salve.»
Abu Mahmoud rispose con il suo tono calmo e rispettoso:
«Salve, pace e benedizioni su di voi», poi tornò alla sua scrivania, mentre Numan si preparava a uscire per eseguire ciò che avevano concordato.
Il vecchio lo chiamò con voce chiara:
«Signor Numan, per favore… accogli i clienti e aiutali.»
Numan si fermò sulla soglia del negozio, poi tornò veloce con passi brevi e si fermò dietro il banco, sorridendo mentre si rivolgeva all’uomo:
«Benvenuto, come posso aiutarla, signore?»
Capitolo uno 01:
Le parole di Numan erano rivolte all’uomo, mentre le sue mani si appoggiavano sul lungo banco che li separava. Non guardava Muna, né il frammento di tessuto che lei gli porgeva, gli occhi pieni di sfida, mentre diceva con voce ferma:
«Stiamo cercando da stamattina un pezzo di stoffa che corrisponda a questo campione: colore, tessuto, consistenza.»
Ma Numan, immobile e concentrato, continuava a parlare con l’uomo senza allungare la mano verso di lei:
«Mi dispiace, signore, qui vendiamo solo all’ingrosso o mezza partita. Non vendiamo al dettaglio.»
Muna si intromise, gli occhi che vagavano tra gli scaffali e le pile di stoffa, con un tono di rimostranza:
«Ma qualcuno ci ha indirizzato da voi, ha detto che siete specializzati in questo tipo di stoffa, e che qui avremmo trovato quello che cercavamo!»
Numan ripeté la sua scusa, sempre con calma, rivolto all’uomo:
«Mi scuso ancora, come le ho detto, vendiamo solo all’ingrosso.»
Il volto di Muna si fece duro, e la rabbia traspariva nella sua voce:
«Non ci è permesso neanche guardare? Forse avete considerazioni più importanti delle nostre?»
Ma Numan non si voltò. Rimase composto, la sua voce ferma e pacata rivolta all’uomo:
«Signore, se vuole…»
«È là! Quella stoffa sullo scaffale! Sì! Proprio quella! Papà, è quello che cercavo!» – urlò Muna, indicandolo.
Eppure Numan continuò a parlare all’uomo, senza lasciarsi distrarre:
«Mi dispiace, signore, purtroppo vendiamo solo all’ingrosso.»
Muna alzò ancora di più la voce, gesticolando verso la stoffa:
«Abbassalo! Muoviti! Cosa stai facendo lì fermo? Sei stupido? Non mi ascolti?»
In disparte, Hajj Abu Mahmoud osservava la scena in silenzio, con la saggezza calma di chi conosce la vita.
Numan parlò con gentilezza, senza perdere la sua fermezza:
«Signore, posso scriverle il nome di un commerciante al dettaglio vicino al Suq al-Hariqa, è l’unico qui nella zona che acquista questo tipo di stoffa… lì troverete quello che cercate.»
L’uomo annuì, prendendo il foglio:
«Sì, grazie.»
Prese la mano della figlia per andarsene, ma Muna strinse il pugno e disse con determinazione:
«Prima dobbiamo essere sicuri!»
Si avvicinò a Numan, urlandogli in faccia:
«Sono io a parlare! Non mio padre! Sei cieco? Non senti? O non capisci?»
Nonostante l’insulto, Numan rimase calmo e sorridente, e il suo silenzioso controllo sembrava pesare più di qualsiasi parola.
La rabbia di Muna esplose in un fiume di imprecazioni confuse e rapide, incomprensibili in gran parte, ma l’impatto era come una serie di schiaffi invisibili.
Eppure Numan non perse mai la calma; era come un muro che accoglie la pioggia senza vacillare.
«Posso fare qualcos’altro per voi, signore?» – chiese con tono tranquillo.
A quel punto Muna perse completamente la pazienza e si rivolse ad Hajj Abu Mahmoud, gridando con voce acuta:
«Non hai trovato un lavoratore più intelligente di questo stupido? Dov’è finita tutta la gente capace a Damasco, che usi questo sciocco?»
A quel punto, Hajj Abu Mahmoud avanzò con passo calmo e disse, con gentilezza appena velata di un filo di irritazione:
«Benvenuti! Immagino siate appena arrivati a Damasco dopo un lungo viaggio, forse siete stanchi. Spero accetterete il nostro invito per una tazza di tè, così potremo riposare un po’ e parlare con calma.»
Muna, visibilmente emozionata, replicò con tono acceso:
«Grazie per l’accoglienza! Ma si vede subito dal comportamento del vostro assistente come trattate gli ospiti nel vostro Paese!»
Hajj Abu Mahmoud rispose con la consueta gentilezza:
«Vi prego, non giudicate troppo in fretta, gentile signorina. Questo giovane davanti a voi è in realtà educato e rispettoso; è solo che non ha mai avuto a che fare con ragazze, perché loro non entrano nel nostro negozio. Come vi ha detto Numan, noi vendiamo solo all’ingrosso, e il nostro lavoro è rivolto ai commercianti.»
Muna scoppiò quasi:
«Non mi interessa! Sto pagando io! E a te, proprietario del negozio, si dovrebbe insegnare a curarti delle vendite, mentre lui, come dipendente, dovrebbe occuparsi dei clienti!»
Hajj Abu Mahmoud, imperturbabile, replicò con calma:
«Le tue parole hanno senso, ma da questo giovane ho visto solo buone maniere. Nonostante le tue dure parole, non ha sbagliato nulla. Ti chiedo scusa per il malinteso.»
Indicò il piatto di dolci disposto sul tavolo:
«A proposito, oggi è un giorno speciale per il nostro negozio. Numan ha superato gli esami di maturità scientifica con successo e ci ha portato questi dolci per festeggiare. Stavamo per invitare i vicini a celebrare con noi, ma visto che siete arrivati prima, siete i benvenuti.»
Muna tacque un attimo, poi rispose a bassa voce:
«No… grazie. Vogliamo solo comprare la stoffa e andarcene subito.»
«Come desiderate!» disse Hajj Abu Mahmoud, tornando alla sua scrivania.
Muna si avvicinò di nuovo, con tono cambiato:
«Non chiederai al tuo assistente di venderci un pezzo di questa stoffa? Oppure non ti ascolta? O aspetta un ordine che non arriverà?»
Lui rispose con calma:
«Ci dispiace, non abbiamo registri per la vendita al dettaglio, e gli scarti non si vendono.»
Muna mormorò, fissando Numan:
«Di certo nessuno comprerà mai da voi, se trattate così i clienti…»
Poi si rivolse a Hajj Abu Mahmoud:
«Va bene, comprerò il vestito intero. Portatemelo giù.»
Hajj Abu Mahmoud ordinò a Numan di eseguire l’operazione. Numan prese il vestito, lo posò sul banco davanti al suo insegnante, poi tornò al suo posto, gli occhi rossi come se contenessero lacrime che rifiutavano di cadere.
Muna esaminò la stoffa, la avvolse attorno al corpo e si guardò in un piccolo specchio che aveva estratto dalla borsa. Poi si voltò verso il padre, gli occhi che custodivano un lungo dialogo che solo lui poteva comprendere, e sussurrò:
«Ecco, papà… proprio come volevo.»
L’uomo tirò fuori il portafoglio e porse a Hajj Abu Mahmoud una mazzetta di denaro, ma il prezzo era elevato, e la somma non bastava. Chiese di poter andare alla macchina per tornare con il resto.
Muna, con tono imperioso, si rivolse a Numan:
«Porta il vestito alla macchina, lì pagheremo.»
Numan si fermò un attimo. Come avrebbe potuto farlo, dopo tutto quello che era successo? Tuttavia, trattenne ciò che sentiva, nascondendo ogni emozione che gli bruciava nel petto.
L’uomo gli rivolse uno sguardo gentile:
«Per favore, potresti aiutarci a portare il vestito? Non ti tratteremo male, la macchina è vicina.»
Numan guardò il suo insegnante, come chiedendo permesso di dire qualcosa. Poi, con calma:
«Potreste assumere uno dei facchini laggiù.»
Hajj Abu Mahmoud scosse la testa, sorridendo:
«Non serve, Numan. È un solo vestito, leggero come vedi… mettilo in macchina, ritira il resto del denaro e torna subito.»
L’uomo aggiunse:
«Sei gentile, signor Numan.»
Numan chinò leggermente il capo, ripetendo a sé stesso in silenzio:
«Mettilo in macchina… prendi il denaro… torna subito…»
Esitò un momento, poi prese il vestito, gravato dal silenzio e dall’imbarazzo, e seguì l’uomo a passo lento, mentre Muna lo precedeva con passo sicuro, come se stesse trascinando con sé ciò che considerava suo.
Capitolo due 02:
Erano passate le due del pomeriggio e Numan non era ancora tornato al negozio. Era ora della siesta, e le botteghe all’ingrosso del vecchio mercato di Damasco avevano chiuso le porte, come da tradizione.
Tre ore pesanti di pausa pranzo scorsero lente per Hajj Abu Mahmoud. Quando finalmente la ripresa delle attività riportò un po’ di vita nel mercato, scese dalla sua soffitta e trovò la porta ancora chiusa, come se l’assenza si fosse dilatata per un’eternità. Si fermò un attimo, poi aprì la porta con la mano e fece capolino, guardandosi attorno, a destra e a sinistra, come se cercasse un fantasma appena partito.
Entrò lentamente, ispezionando angoli e locali di servizio, chiamando Numan a bassa voce, ma senza alcuna risposta. Si sedette dietro la sua scrivania, immerso nei pensieri, osservando il silenzio che riempiva lo spazio, interrotto solo dal lento ticchettio dell’orologio. Ricevette qualche cliente a malincuore, rimandando l’evasione delle loro richieste finché il suo giovane aiutante non fosse tornato. Sembrava non voler fare nulla senza di lui.
L’attesa si fece lunga, quasi vorace, finché Numan finalmente arrivò. Entrò con passi pesanti, il volto stranamente pallido, come se un’eternità di giorni avesse attraversato lui e gli avesse portato via qualcosa di irreparabile.
Non era solo la stanchezza a gravargli addosso: un sentimento profondo di umiliazione continuava a colpire cuore e mente allo stesso tempo. La fatica fisica segnava i suoi lineamenti, mentre dentro di lui un dolore invisibile bruciava ancora, in fiamme silenziose.
L’orologio segnava le sette e mezza quando posò il denaro sul tavolo davanti al suo maestro, in silenzio. Hajj Abu Mahmoud alzò gli occhi verso di lui, con un’espressione che mescolava sorpresa e preoccupazione, e disse con voce calda:
«Dove sei stato, figliolo?… Perché questo ritardo?… Cosa ti è successo?»
Ma Numan non rispose. Si avvicinò lentamente al piccolo frigorifero, prese una bottiglia d’acqua e la bevve tutta in un sorso, poi rimase seduto un momento senza proferire parola. Si alzò infine, preparandosi a chiudere il negozio, come se volesse calare il sipario su quella giornata nel più breve tempo possibile.
Era stata una giornata lunga… eccezionale in tutto. Avvicinandosi l’ottava di sera, Hajj Abu Mahmoud lo salutò e tornò a casa, lasciando Numan a completare le operazioni di chiusura.
Numan chiuse il negozio con cura, serrò la porta centrale, controllò le serrature laterali dall’esterno, si voltò un’ultima volta verso l’interno, poi si avviò verso la fermata dell’autobus trascinando i piedi stanchi.
Salì sull’autobus e si sedette vicino al finestrino, fissando il buio attraverso il vetro graffiato, come se cercasse immagini che solo lui potesse vedere. Mentre l’autista si preparava a partire, Hajj Abu Mahmoud salì all’improvviso, come se cercasse qualcuno.
Numan era lì, ma non si accorse del padrone o di chiunque altro sul mezzo, fissando il buio dietro il vetro senza muoversi.
Hajj Abu Mahmoud si sedette accanto a lui senza dire una parola. Numan rimase immerso nei suoi pensieri, gli occhi sospesi su qualcosa di invisibile, senza forma né nome. Quando il controllore venne a riscuotere il biglietto, Hajj Abu Mahmoud tirò fuori le monete con calma e indicò il controllore:
«Due passeggeri.» E non aggiunse altro.
Passò circa un’ora, durante la quale il silenzio dominò l’autobus. Avvicinandosi alla fermata di Hajj Abu Mahmoud, questi disse ad alta voce all’autista:
«Alla prossima fermata, per favore.»
Numan si voltò verso di lui, stupito, realizzando solo in quel momento che il padrone era stato accanto a lui per tutto il tempo. L’imbarazzo lo colpì, e i suoi sguardi divennero domande mute senza risposta.
Il padrone gli sussurrò mentre si preparava a scendere:
«Ho pagato io per te…»
Poi aggiunse con quella gentilezza che non perdeva mai calore:
«E non dimenticare di portare con te i due piatti di dolci a casa…»
Si mosse per scendere, ma si fermò improvvisamente, voltandosi verso Numan con un sorriso sereno:
«E abbi cura di loro! Così non li dimentichi… come hai fatto poco fa in negozio!»
Poi salutò con la mano, lasciando dietro di sé un calore che rimbalzava nel cuore del giovane, come un silenzioso e indimenticabile scusarsi.
Capitolo tre 03:
Numan tornò a casa come era solito fare nelle ore tarde della sera, avvolto dalle ombre della stanchezza e dai fili sottili della nostalgia. Sua madre lo accolse alla porta con un sorriso caldo, da tempo atteso per fiorire sul suo volto. Non era lì per rimproverarlo del ritardo, ma per offrirgli la gioia del cuore in quella notte di successo.
Il suo volto stanco brillava di luce propria, come se la fatica fosse un ornamento d’amore. Aveva trascorso tutta la giornata a preparare una tavola degna del figlio laborioso, quello che lo sforzo non l’aveva piegato, ma temprato.
I suoi fratellini lo circondavano, seguendo con gli occhi ogni passo della madre, inalando l’odore del cibo che si diffondeva dalle porte e dalle finestre, come un presagio di festa. Non aspettavano solo la cena, ma il momento dell’incontro, la gioia della vittoria di Numan.
Entrò pesantemente, salutando a bassa voce, intriso di fatica e di un pizzico di scoramento. Ma quando i suoi occhi incontrarono il volto luminoso della madre e i volti radiosi dei fratellini, un calore si riversò nel suo petto, scacciando via stanchezza e amarezza.
Sorrise timidamente e porse i due piatti di dolci, come se offrisse loro il proprio cuore, carico di gratitudine. Non appena i bambini videro i dolci, esplosero in grida di gioia e si precipitarono verso di lui, abbandonando la tavola tanto attesa.
La madre cercò di riportare ordine, alzando uno dei piatti: «Questo basterà per tutti… forse anche per due giorni o più!» Ma i piccoli erano ormai immersi in un mondo di zucchero e stupore.
Numan chiese alla madre di lasciarli liberi per quella sera, poi si sedette accanto a lei, cenando in silenzio, gli occhi che vagavano tra i volti dei fratellini, illuminando dentro di sé una luce di soddisfazione.
«La mia felicità non si può descrivere, figliolo», disse la madre, mentre gli passava il pane. «Hai alzato la mia testa verso il cielo.»
«Qui, con loro, trovo la vera felicità», rispose Numan sorridendo, indicando i fratellini. «Guarda come esprimono la loro gioia!»
La madre rise: «Hanno aspettato ore per il cibo, annusandolo con il naso e osservandomi con gli occhi, poi lo hanno lasciato tutto per i dolci della tua vittoria.»
La sorella maggiore intervenne con orgoglio: «Ma io ti ho aiutata, mamma, non dimenticare!»
E il fratello più piccolo aggiunse: «E io sono andato al droghiere a comprare l’olio d’oliva!»
I fratelli si alternarono nel raccontare i loro contributi, ognuno alzando la propria bandiera di partecipazione a modo suo.
Numan rise, con naturalezza: «Siete i migliori fratelli del mondo… grazie a voi, e grazie a te, mamma, e a papà. Senza il vostro sostegno, la vostra pazienza, la vostra calma mentre studiavo, non sarei arrivato dove sono. Ma… attenzione! Anche voi dovete occuparvi dei vostri studi… e lasciate qualche dolce a mamma e papà!»
Muna, la sorellina più piccola, protestò stringendo il piatto tra le mani:
«Non dire che ne lascerai un po’ anche ai figli dei vicini! Loro non ci danno mai niente!»
La madre alzò una mano, dolce e ferma insieme:
«No, piccola mia. Non guardiamo a ciò che hanno gli altri… noi siamo soddisfatti, grazie a Dio.»
Le risate esplosero da ogni angolo della stanza, riempiendo la piccola cucina di allegria. La madre raccolse i piatti con calma, pronunciando con voce piena d’affetto:
«Adesso, tutti lavatevi mani e viso, pulite i denti e andate a letto. E domani… mi racconterete i vostri sogni.»
Muna ridacchiò, schernendo dolcemente:
«No, mamma! Voglio dormire con il sapore dei dolci in bocca… così potrò sognarli!»
La madre sorrise e scherzò:
«E vuoi davvero lasciare che il mostro della carie si diverta nella tua bocca? Lava i denti, o altrimenti… non ascolteremo il tuo sogno domattina!»
Quando il silenzio avvolse la casa e tutti erano già addormentati, il padre tornò dal lavoro, stanco. La madre si sedette accanto a lui, raccontandogli tutto, e gli porse un piccolo piatto di dolci, sistemato su un vecchio vassoio di rame, conservato fin dal giorno del suo matrimonio.
«Da dove Numan ha preso questi dolci così raffinati?» chiese il padre, stupito.
La madre rispose con calma:
«Non l’ho chiesto… lavora, e oggi è felice e orgoglioso, non volevo rovinare la sua gioia.»
Il padre la osservò, riflettendo:
«Ho visto due scatole provenienti da negozi famosi… voglio sapere come le ha avute.»
La madre annuì, rassicurante:
«Chiederò domattina. Lascia che la sua felicità resti pura stanotte.»
Il padre sorrise e aggiunse:
«Non dimenticare di mandarne un po’ ai miei genitori, ai miei fratelli e ai loro figli… e a chiunque tu voglia condividere la gioia del successo.»
«Lo farò», sussurrò la madre con soddisfazione, «ma la quantità non basta per tutti!»
Dopo aver terminato i lavori in cucina, si stese accanto a lui, e il silenzio che li avvolse era morbido, quasi una preghiera.
Prima dell’alba, Numan si svegliò, si purificò e stese il tappetino in un angolo lontano dai piedi dei fratelli. Fece due rak‘at di preghiera. Sollevò lo sguardo verso il padre ancora addormentato e mormorò a bassa voce:
«Non preoccuparti, papà… come sempre, con la grazia di Dio.»
Tornò a letto, recitò le due sura protettive e chiuse gli occhi. Al primo azan dell’alba, si alzò nuovamente, pregò, poi svegliò delicatamente i fratelli aiutandoli a prepararsi. Allestì la tavola con silenziosa cura: pane, olive, timo, latte e tè.
Tirò fuori tre banconote dalla tasca e le porse alla madre:
«Il mio padrone mi ha dato cento lire per comprare i dolci, poi mi ha regalato queste tre banconote… ha detto che sono il dono per il mio successo. Questo è tutto, mamma.»
La madre le prese e gli baciò la testa:
«Sono tue, figlio mio, questa è la tua gioia… e la nostra gioia per te ci basta.»
Poi si rivolse agli altri figli, con voce ferma ma piena di affetto:
«E voi, promettete di essere come lui?»
«Sì, mamma!» risposero tutti insieme.
Ma Numan era assorto nei suoi pensieri. La madre gli chiese:
«A cosa pensi, figlio mio?»
Rispose con voce calma:
«Sto pensando di lasciare il lavoro da signor Abu Mahmoud, per prepararmi a presentare i documenti all’università a Damasco… o almeno a un istituto medio.»
La madre lo rassicurò:
«Ne parlerò con tuo padre, non credo si opporrà. Tu conosci il tuo futuro meglio di chiunque altro, Numan.»
In quel momento il padre entrò in cucina:
«Buongiorno!»
«Buongiorno, papà!» risposero tutti insieme.
Si sedette accanto a Numan, gli accarezzò la spalla:
«Congratulazioni per il tuo successo, figlio mio!»
Numan baciò la mano del padre e sussurrò:
«Dio vi benedica, papà e mamma.»
Chiese il permesso di uscire; il padre lo accompagnò alla porta, dicendo con calma:
«Non temere la mia severità… ho solo paura per te. Ho ascoltato la tua conversazione con tua madre… il futuro è tuo, e tu lo conosci… io confido in te.»
La madre gli accarezzò la spalla e aggiunse:
«Vai in pace.»
Numan uscì all’alba, diretto al lavoro, mentre il padre tornava a letto per continuare il sonno fino alle otto. A quell’ora, i fratelli di Numan si prepararono per andare alla scuola coranica del quartiere, dove una donna anziana, conosciuta come “al-Khaja”, insegnava loro le basi, con pazienza e affetto.
Quando il trambusto del mattino cessava e la madre terminava i suoi lavori, si sedeva davanti alla macchina da cucire, ricamando con fili di seta colorati sui tessuti, tessendo il suo sostentamento come da anni. I ricami erano la sua fonte di guadagno, riceveva i tessuti dai committenti e li rifiniva con decorazioni delicate fatte a mano. Talvolta uno dei figli l’aiutava a trasportare i pezzi, un compito che per anni era spettato a Numan, ora affidato al fratello più piccolo.
Capitolo Quattro 04:
Il mattino stava appena sorgendo sulle strette vie dell’antica Damasco, quando Numan entrò nel negozio di tessuti come al solito, molto presto, anticipando persino i primi sussurri di luce.
Aprì le serrature con mano esperta, poi iniziò a pulire il pavimento e a sistemare i tessuti con cura, come chi cerca un tesoro nascosto.
Prima dell’arrivo del suo maestro, aveva già fatto bollire l’acqua e preparato una tazza di tisana floreale, come era solito fare ogni mattina.
Il signor Abu Mahmoud, proprietario del negozio, entrò ripetendo il saluto abituale con voce ferma:
«Buongiorno!»
Numan rispose con un tono educato e leggermente sommesso:
«Buongiorno, maestro.»
Quella mattina, tuttavia, il signor Abu Mahmoud lo sorprese con un leggero sorriso e un tono pacato:
«Oggi… vorrei del caffè invece della tisana. Lo berremo insieme. Sai prepararlo?»
Numan, dirigendosi verso il piccolo retrobottega, rispose:
«Certo, maestro, ma… perdonami, non desidero bere caffè.»
Dal fondo del negozio, la voce del signor Abu Mahmoud si fece più calda, con un accenno di sorriso:
«Lo berrai, e non rifiuterai una mia richiesta come sai fare. Non è così?»
Numan rispose con un sorriso stanco:
«Va bene… come vuoi tu, maestro.»
Poi mormorò tra sé:
«E che gusto ha il caffè senza una sigaretta? Sono come gemelli inseparabili…»
Il signor Abu Mahmoud gli chiese la quantità di zucchero e Numan rispose:
«Come lo preferisci tu.»
Dopo qualche minuto, Numan tornò con un piccolo vassoio, sopra il quale c’erano due tazzine di caffè e un bicchiere d’acqua fredda. Lo posò sul piccolo tavolo dei cassetti, porgendo la prima tazzina al padrone con un sorriso forzato:
«Prego, maestro…»
Il signor Abu Mahmoud lo scrutò per un attimo, poi disse con tono curioso:
«Ti vedo diverso dal solito stamattina. Posso sapere il motivo?»
Numan inspirò leggermente e cercò di nascondere la sua tensione:
«Niente… solo che so bene che tu non sei uno da solo caffè.»
Il padrone rise brevemente:
«Giusto… ma oggi volevo condividere un caffè con te e parlare di ciò che è successo ieri sera. Raccontami della tua assenza dal negozio, da quando sei uscito con quel tessuto fino al ritorno prima della chiusura.»
Numan lo osservò attentamente, poi disse:
«Ma, maestro… ti arrabbieresti se ti chiedessi tre cose?»
Il signor Abu Mahmoud alzò le sopracciglia:
«Solo questa volta… non mi arrabbierò. Dimmi.»
Numan schiarì la voce:
«Prima, scusami, non voglio parlare di ciò che è successo ieri. Secondo, vorrei restituire la somma che mi hai dato, mi basta ciò che hai generosamente offerto per i dolci.»
Poggiò tre banconote davanti al padrone con calma.
Il signor Abu Mahmoud lo guardò un attimo e chiese:
«E la terza?»
Numan rispose con voce che mescolava determinazione e tristezza:
«Ti prego di cercare un nuovo aiutante per il negozio. Io resterò al tuo servizio finché non troverai qualcuno.»
Il padrone rimase in silenzio per un momento, come se leggesse tra le righe, poi chiese con tono più pacato:
«E cos’altro?»
In quel momento entrò un uomo dall’aspetto distinto, che si avvicinò lentamente e disse con cortesia:
«Salve… scusate, posso unirmi a voi?»
Il signor Abu Mahmoud lo accolse calorosamente:
«Salve, benvenuto. Stavamo per parlare di ciò che è successo ieri sera… accomodati.»
Nel frattempo, Numan portò le tazzine e il bicchiere nella stanza accanto e si sedette, sorseggiando il caffè in silenzio. Nel suo petto ribolliva un sentimento bruciante di rifiuto: non riusciva ad accettare che il suo padrone permettesse a quell’uomo di unirsi a loro, quell’uomo che era rimasto in silenzio quando sua figlia aveva fatto una brutta figura davanti agli altri.
L’uomo chiese al signor Abu Mahmoud di parlargli in privato. Il padrone si voltò e chiamò a voce alta:
«Numan, ragazzo! Portaci qualche dolce dal negozio dove li hai comprati ieri… prendi i soldi dal tavolo.»
Numan uscì dal negozio e tornò circa mezz’ora dopo, portando un vassoio di baklava. Lo posò su un piccolo piatto, lo offrì al padrone senza dire una parola, e uscì di corsa, fermandosi sul marciapiede opposto, lontano dagli sguardi dei presenti, accendendosi una sigaretta mentre attendeva che l’uomo se ne andasse.
I clienti entrarono uno dopo l’altro, e il signor Abu Mahmoud faceva cenno loro di attendere finché Numan non fosse tornato.
Uno dei clienti chiamò un facchino, che subito si avvicinò e chiese di Numan. Il facchino indicò il ragazzo:
«È lì, sul marciapiede.»
«Per favore,» disse il cliente, «chiamalo, così mi aiuterà a sistemare la merce che ho ordinato e a caricarla nella mia macchina. Questo è il compenso in anticipo.»
Indicò la sua auto bianca, parcheggiata dietro un camion vicino, e aggiunse:
«Il portellone posteriore è aperto, fai attenzione alla merce.»
Il facchino si voltò, chiamando:
«Signor Numan! Non bloccare il nostro lavoro, abbiamo da fare!»
Numan rientrò nel negozio silenzioso e indicò una grande scatola di cartone:
«Portala nella macchina del mercante Abu Said, e se vuoi altro lavoro, torna pure.»
I clienti continuarono a fare domande e Numan rispondeva con educazione e pazienza. Uno di loro voleva un tessuto restituito in precedenza; Numan rispose cortesemente:
«Mi dispiace, Abu Zuhair, ma ieri abbiamo venduto il tessuto.»
Il mercante pregò di assicurarsi di averne uno simile rapidamente. Numan si rivolse al suo maestro, che si occupò della questione promettendo di trovare una soluzione.
L’uomo sconosciuto rimaneva immobile, osservando Numan in silenzio, mentre lui fingendo di non notarlo, si tratteneva a lungo vicino alla porta.
Alla fine il signor Abu Mahmoud lo chiamò:
«Numan, vieni qui, per favore.»
Numan si avvicinò, rispondendo cortesemente:
«Sì, maestro, devo portarti qualcosa?»
Il signor Abu Mahmoud indicò l’uomo:
«No… ma il signor Ahmed vuole chiederti qualcosa.»
Numan sospirò e disse:
«Bene, inshallah… cosa vorrà ancora?»
Il signor Abu Mahmoud si aggiustò l’abito con un gesto lento, poi disse con un sorriso pacato:
«È l’ora della preghiera, vado in moschea.»
Prese una piccola borsa a mano con dentro un asciugamano e delle ciabatte, e si avviò verso la porta salutandoli con un cenno leggero, mentre usciva, lasciando Numan sulla soglia di un momento nuovo… diverso da tutti i pomeriggi precedenti.
Capitolo Quinto 05:
L’uomo tese la mano, sorridendo, e disse con voce calma:
«Assalamu ‘alaykum.»
Numan alzò lo sguardo verso di lui e ricambiò il saluto con un cenno breve, poi strinse lentamente quella mano, come se qualcosa dentro di sé lo trattenesse, ma infine cedette al dovere dell’incontro.
Il visitatore si sedette sollevando leggermente le mani, come per chiedere permesso, e parlò con un tono in cui si avvertiva l’esitazione:
«Il signor Abu Mahmoud, il proprietario del negozio, mi ha parlato molto di te… Dice che sei un giovane riservato, che cammina per la sua strada senza lasciarsi distrarre dai passanti, sempre fisso sulla sua meta e sul suo obiettivo. Mi ha raccontato tanto di te. E credo sia arrivato il momento di conoscerci meglio, di persona.»
Inspirò profondamente, poi aggiunse:
«Non ti ruberò molto tempo, so bene quanto lavoro hai.
Mi chiamo Ahmad Abdul Karim, sono un ingegnere edile, musulmano sunnita, ho quarantacinque anni e vengo da Beirut. Ho uno studio tecnico laggiù e sono socio in una delle più grandi imprese di costruzioni della città, fondata tempo fa dal padre di mia moglie – che Dio l’abbia in gloria – e in seguito allargata con il marito di sua sorella e altri parenti ingegneri e imprenditori.»
Si fermò per qualche secondo, come a raccogliere il fiato, poi continuò a voce più bassa:
«Mia moglie e il nostro bambino sono morti in un incidente terribile circa un anno fa, a Beirut. Ora sono rimasto solo con mia figlia, Muna… proprio lei, quella che era con me ieri.»
Cade un silenzio breve. Poi riprese con un tono strozzato dall’emozione:
«Da quella tragedia ho fermato la mia vita per lei. Faccio tutto ciò che mi chiede, pur di non farle sentire il vuoto di sua madre e di suo fratello, pur di non farle provare la solitudine. Ieri sera… quando ti ha offeso, Numan, ti giuro che non voleva. Non ha chiuso occhio per tutta la notte. Le ho parlato con una durezza che non aveva mai conosciuto da me, e le ho fatto capire quello che aveva fatto.»
Numan sollevò lentamente la testa, la voce velata di tristezza:
«Dio abbia misericordia di chi avete perso e li ricompensi con il Paradiso… Ma, per favore, cosa c’entro io in tutto questo?»
Il signor Ahmad sorrise con malinconia:
«Hai ragione a chiedertelo… cosa c’entri tu? Perché siamo qui a Damasco? Perché cercavamo proprio quel tessuto? Perché Muna si è irritata quando l’ha trovato da voi e ti ha giudicato non collaborativo?»
Inspirò a fondo, poi riprese:
«Quello che sto per dirti non è una giustificazione al suo comportamento, non è perché sia una ragazza viziata o perché è la mia unica figlia. È solo che lei… è la mia vita. Una ragazza fragile, delicata nei sentimenti, che ha perso la madre da poco e che ancora vive attaccata al suo ricordo.»
Tacque all’improvviso, tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e si asciugò le lacrime che gli erano scese senza permesso, mentre il bianco degli occhi gli si velava di rosso. Abbassò il capo, cercando di nascondere l’emozione, e disse con voce rotta:
«Sua madre è bruciata in quell’incidente… e anche suo fratello.»
Poi continuò a voce rotta dall’emozione:
«Indossava un vestito nuovo, cucito dai migliori sarti, sarebbe stata una regina alla festa per il diploma di nostra figlia Muna… E i suoi nonni, i genitori di mia moglie – che Dio li abbia in gloria – avevano organizzato quella celebrazione come sorpresa per la nostra unica figlia, il giorno in cui avrebbe ottenuto la maturità con il massimo dei voti. Ma la tragedia è che mia moglie e il nostro piccolo furono coinvolti in quell’incidente mentre si recavano all’hotel già prenotato per l’occasione. Di quel vestito restano solo piccoli pezzi, appena sufficienti a intuire tessuto e taglio. La parte che era con Muna è la più grande di quelle rimaste. E da mesi lei insiste per acquistare un tessuto simile, per cucirne un vestito da indossare in memoria di sua madre, di suo fratello e dei nonni.
Muna e le sue zie hanno cercato in tutti i negozi di tessuti del Libano… finché il sarto che aveva confezionato il vestito indicò loro il commerciante da cui l’aveva acquistato, spiegando che quel tipo di stoffa proveniva da Damasco, su consiglio per occasioni molto speciali. Così siamo venuti qui. Da una settimana cerchiamo ogni giorno, dall’alba al tramonto.»
All’inizio Numan ascoltava con distacco, appoggiato alla sedia, ma poco a poco i suoi lineamenti cominciarono a mutare. Si spostò un po’ verso l’uomo, allungò di nuovo la mano e, con voce calda e rotta dal dolore, disse:
«Mi scusi, signore, se in qualche modo il mio comportamento vi ha offeso… ma perché mi avete lasciato indietro ieri? Siete entrati in negozi dove non avevate bisogno di nulla… mi è sembrato che voleste punirmi! Ho pensato che voleste umiliarmi… camminavo dietro di voi come un servo. Mi sbagliavo? Perdoni, la confusione nella mia mente era troppa e mi ha fatto soffrire.»
Abbassò il capo, poi continuò, cercando di spiegare che quanto accaduto non erano parole dure… ma un attacco a qualcosa di fragile dentro di lui, qualcosa senza ancora un nome:
«Ho taciuto tutto, per rispetto di me stesso… e del mio maestro. Egli ha visto in me un frammento dei suoi sogni e mi ha affidato un compito che non aveva portato a termine in gioventù. Ho pregato alcuni commercianti e facchini di non riferire al mio padrone ciò che avevano visto. È vero, sono un semplice lavoratore, ma so come pensare e dove mettere i piedi. Quindi, vi prego, lasciatemi stare. Trasmettete a vostra figlia le mie scuse, ditele la verità, e portatele il mio cordoglio per la perdita di sua madre, di suo fratello e dei nonni.»
Il signor Abu Mahmoud entrò nel negozio; Numan si alzò subito, scusandosi di nuovo con l’ospite, poi accolse il padrone alla porta con grande rispetto:
«Che Dio accetti, maestro.»
Il padrone rispose con calma:
«Che Dio accetti da noi e da voi le opere buone.»
Poi si sedette dietro la scrivania e chiese:
«Sei riuscito a procurare l’ordine del signor Abu Zuhair? L’ho incontrato in moschea e mi ha chiesto ancora di te.»
Numan si avvicinò con passi leggeri, e sussurrò:
«Maestro, l’ordine che vuole Abu Zuhair… è con quell’uomo. Vi prego, non voglio parlarne ancora.»
Poi alzò la testa e disse a voce più alta:
«Con il vostro permesso, vado a pregare il Dhuhr.»
Il signor Ahmad rimase seduto, fissando alcune carte tra le mani, come se cercasse qualcosa oltre i conti.
Al ritorno dalla preghiera, Numan trovò il tessuto disteso sul tavolo, senza segno di chi lo avesse sistemato. Lo guardò con stupore, ma il padrone sorrise e disse con tono calmo e leggermente misterioso:
«Per favore, misura due metri e mezzo di questo tessuto e aggiorna i dati. Il signor Abu Zuhair verrà a ritirarlo. Procurati una buona carta da imballaggio e una borsa adeguata… questa volta il costo è a tuo carico.»
Aggiunse, notando la sorpresa sul volto di Numan:
«Ne parleremo più tardi.»
Numan eseguì quanto gli era stato chiesto e tornò con la borsa elegante, consegnando la stoffa al maestro:
«Ecco, maestro.»
Pochi minuti dopo, entrò il commerciante Abu Zuhair; Numan gli consegnò il tessuto e il padrone incassò il pagamento. Il commerciante uscì rapidamente, lasciando Numan e il padrone soli nel negozio.
Numan si avvicinò con voce cauta:
«Maestro, mi può spiegare… come è successo?»
Il padrone sorrise con tranquillità:
«Semplice. C’era un uomo che, suo malgrado, aveva comprato una certa quantità di stoffa, ma gli servivano solo due metri e mezzo, e aveva pagato più di quanto potesse permettersi. Allo stesso tempo, avevamo un altro commerciante che aveva bisogno del resto della stoffa, a qualunque prezzo. Abbiamo evaso entrambi gli ordini, e io ti ho fatto credere di essere tu il venditore al dettaglio che ha servito il signor Ahmad… Ogni profitto ottenuto da quella vendita ti spettava, senza che tu ne fossi consapevole.»
Poi estrasse una somma di denaro e, con gentile fermezza, disse:
«Ecco il denaro, è tuo di diritto.»
Numan rispose con franchezza e sincerità:
«Maestro, non c’è bisogno… Lavoro qui e ricevo già il mio compenso regolarmente. Non credo di aver fatto nulla che valga questo.»
Il padrone scosse la testa, ripose i soldi in un piccolo cassetto e disse con tono deciso ma affettuoso:
«Allora li conserverò per te, fino alla fine del tuo servizio. Adesso è quasi ora di chiusura; salirò a mangiare e riposarmi. Tu chiudi il negozio… e troverai qualcuno ad aspettarti alla porta.»
Dopo una breve pausa aggiunse con voce misurata:
«È un invito a pranzo. Fidati di chi ti invita, non rifiutare per cortesia. Ho fiducia in te e nelle tue decisioni, fai ciò che ritieni giusto… ma non dimenticare di riaprire il negozio nel pomeriggio. Vai in pace.»
Il padrone salì le scale laterali a passo lento, recitando preghiere e invocazioni, mentre Numan rimaneva fermo davanti al negozio, con la mente piena di domande:
«Chi è quest’uomo? Perché mi ha invitato? Posso fidarmi? Devo rifiutare con educazione?»
Un piccolo sussurro dentro di lui lo incoraggiava ad accettare… forse curiosità, forse qualcosa di più… una sensazione simile alla giustizia.
Capitolo Sei 06:
Numan chiuse la porta del negozio e rimase sul marciapiede in attesa. Non passarono molti secondi quando una Buick nera si fermò lentamente davanti a lui, facendo fatica a farsi strada nel traffico congestionato.
Il finestrino si abbassò, e il volto del signor Ahmad comparve sorridente, con un tono leggermente urgente:
«Dai, ragazzo! La strada è stretta e le macchine dietro stanno suonando!»
Numan esitò un istante, poi aprì la portiera e si sedette accanto all’uomo, chiudendola con calma prima di salutarlo con voce timida.
Il signor Ahmad lo accolse con sincerità:
«Benvenuto, signor Numan, e grazie per aver accettato il mio invito… no, grazie doppio, perché mi hai creduto e ti sei fidato di me!»
L’uomo sapeva bene che la presenza di Numan non sarebbe stata possibile senza la raccomandazione del vecchio Abu Mahmoud, quel saggio che abitava nel cuore del ragazzo come il tronco di un albero d’infanzia.
Numan parlò con gentilezza e prudenza:
«Ma… ti prego, non allontaniamoci troppo. Devo essere in negozio alle cinque meno un quarto, per sistemare alcune cose prima che arrivi il maestro.»
Il signor Ahmad sorrise, rassicurante:
«Non preoccuparti, l’ho avvisato. Non staremo via a lungo… prima dobbiamo solo liberarci di questo traffico.»
L’auto si fece strada tra le vie affollate di Damasco, fino a fermarsi davanti a un elegante hotel dove alloggiavano il signor Ahmad e sua figlia. Salirono insieme nella stanza prenotata e appena entrati, Ahmad indicò a Numan un divano vicino alla finestra. Poi chiamò con voce calda:
«Muna, tesoro… siamo arrivati, e con noi c’è il signor Numan, che ha insistito per venire a scusarsi con te!»
Numan rimase immobile, fissando l’uomo con sorpresa evidente.
«Scusarsi? Ma… cosa intendi, signore?»
Ahmad fece un gesto ambiguo con la mano, e con un tono quasi scherzoso sussurrò:
«Non pensarci troppo, signor Numan… per questa volta, collabori con me, ti prego.»
Ma Numan non accettò quel gioco. Si alzò di scatto, la voce percorsa da un velo di dolore:
«Mi dispiace… non posso essere parte di una recita. Quanto successo ieri è stato sufficiente, e non voglio ripeterlo. Torno al mio lavoro… arrivederci.»
Si mosse verso la porta con passo deciso, ma Ahmad lo seguì, prese il suo braccio delicatamente e mormorò con sincera supplica:
«Ti prego, resta… solo per questa volta. Sono io a doverti chiedere scusa, non ti sto chiedendo nulla di impossibile… concedile una possibilità, ti prego.»
Nei suoi occhi brillava una scintilla di speranza, mentre stringeva il braccio di Numan come a un salvagente. In quel momento, una voce tagliente proveniente dalla stanza interruppe il silenzio:
«Non voglio vederlo! Cacciatelo, papà! Non voglio vedere quell’idiota!»
Era la voce di Muna. Tuttavia, Ahmad non lasciò andare il ragazzo, ma gli fece cenno di seguirlo nella hall al piano terra, dove potevano parlare con calma.
Si sedettero in un angolo tranquillo della hall, e Ahmad parlò a bassa voce, mescolando dolore e supplica:
«Dimentichiamo ciò che è passato, e ricominciamo da capo. Ti ho raccontato dell’incidente, ma non ti ho detto quanto abbia ferito Muna. Perdere una madre, un fratello e i nonni in un colpo solo… nessuna mente può sopportarlo, nessun cuore può reggerlo. Dopo quell’evento è diventata un’altra persona. Non si fida più di nessuno, e qualsiasi gesto che percepisce come una violazione della memoria di sua madre lo interpreta come un’offesa personale.»
Si fermò un momento, poi guardò Numan negli occhi e continuò:
«Il tuo comportamento di ieri… la tua calma, il controllo di te stesso, è stato nobile oltre ogni misura. Ma Muna l’ha visto come indifferenza, un’offesa silenziosa. Quel pezzo di stoffa che portava… era di sua madre, e non l’ha mai lasciato andare. La rabbia e il dolore della memoria la fanno reagire a ogni avvicinamento come se fosse una minaccia, e a ogni gentilezza come se fosse inganno. Da quando sua madre è morta, cammina su una ferita aperta… ferendo e ferendosi, senza saperlo.»
Una lacrima scivolò sulla guancia di Ahmad, e sospirò:
«Non ti chiedo di scusarti perché hai sbagliato… ma solo per alleviarle il peso, per aiutarla a uscire dall’ombra di quella tragedia che non la lascia mai. Credimi, non è la prima volta che perde un’amicizia e guadagna un nemico a causa del suo modo di esprimersi. Abbiamo perso i nostri cari a Beirut… per questo siamo venuti a Damasco, alla ricerca di un nuovo inizio, proprio come cerchiamo un tessuto damascato autentico.»
Poi sorrise stanco e allungò la mano verso Numan:
«Ci stringiamo di nuovo la mano? Ho bisogno di un amico come te… e sento che Dio ti ha mandato a me. Non so perché mi senta a mio agio a parlarti… ma con il peso che porto e l’amarezza di quell’incidente che ha cambiato tutto – più me che mia figlia – Muna è diventata tutta la mia vita… la vedo come un’estensione della mia anima, e ora il mio unico pensiero è proteggerla.»
Nonostante la sua apertura verso gli altri, nel cuore di Ahmad si annidava un timore persistente: paura della rabbia di Muna, paura di deluderla, paura di sbagliare nei suoi confronti. Quel senso di colpa antico lo spingeva a sacrificare il proprio orgoglio davanti a Numan, nella speranza di salvarla.
Numan guardò la mano tesa, poi la strinse con calma, dicendo:
«La tua amicizia mi rende felice, signore… e sarò al tuo servizio fin dove potrò. Quanto a tua figlia… quello è un altro discorso. Non posso instaurare con lei un rapporto… né dialogo, né anche uno sguardo. Ti prego, comprendi la mia posizione.»
Ahmad sorrise con compassione:
«Hai ragione, figlio mio… e comunque ti ringrazio. Solo… permettimi di invitarti domani a un pranzo semplice.»

Capitolo Sette 07:
Il giorno dopo, Numan chiuse il negozio a mezzogiorno. Appena mise piede sul marciapiede, vide il signor Ahmad aspettarlo poco distante, appoggiato alla macchina come se stesse sorvegliando il tempo, non la strada.
Salirono insieme, e l’auto si fece strada tra le vie di Damasco fino a raggiungere un parcheggio nel centro città. Ahmad guardò attentamente intorno a sé, poi rise:
«Questa è la tua città… conosci un buon ristorante siriano?»
Numan sorrise pacato, scuotendo la testa:
«Credimi, signore, a Damasco conosco solo la strada per il negozio.»
L’uomo rise di gusto, poi si avvicinò a un piccolo negozio per chiedere consiglio, e dopo un momento tornò, prendendo la mano di Numan con entusiasmo:
«Vieni… qualcuno mi ha indicato un ristorante qui vicino!»
Si avviarono insieme, girando a destra e a sinistra come chi esplora un sentiero sconosciuto nella memoria, finché Numan esitò e chiese con un filo di diffidenza:
«Dove stiamo andando?»
Il signor Ahmad sorrise, enigmatico:
«Eccoci arrivati!»
Si fermarono davanti all’ingresso di un ristorante elegante, dal cui finestrino si diffondeva un profumo di spezie calde, capace di evocare ricordi lontani. Un cameriere li accolse con un sorriso e li guidò verso un tavolo che a prima vista sembrava non ancora preparato, ma sopra il quale giacevano ancora una piccola borsa nera e alcuni resti sparsi.
Numan si sedette, esitante, osservando la borsa, ma senza fare alcun commento. Tuttavia, le parole gli sfuggirono in un sussurro imbarazzato:
«Come desidera, signore… o come avevate già concordato con la signorina… oppure come doveva sembrare, senza preparazione…»
Il signor Ahmad scoppiò a ridere:
«Ah, ci hai smascherato, signor Numan!»
Prima che potesse rispondere, una ragazza in pantaloni neri e maglione grigio a maniche lunghe si avvicinò, rivolgendosi al padre:
«Siete in ritardo, papà… ho mangiato metà dei frutti secchi per la fame!»
Il padre indicò Numan:
«Ecco, conosci bene questo giovane… è lui, intelligente e responsabile, di cui ti ho parlato.»
Muna, con un tono non privo di indifferenza e un cenno al cameriere (o almeno così percepì Numan), disse:
«Lasciatemi mangiare prima… parleremo dopo.»
Il cibo arrivò, e iniziarono a mangiare in silenzio. Numan prese solo qualche boccone, senza alzare lo sguardo. Il signor Ahmad fece un cenno al cameriere, e ben presto la tavola si riempì di piatti vari e invitanti.
Dietro il gusto dei sapori, i pensieri fluttuavano silenziosi nelle loro teste. Numan notò come Muna mangiasse voracemente, come se la fame logorasse i suoi nervi, ma lentamente il suo volto si ammorbidì, e la durezza dei lineamenti iniziò a cedere.
Numan percepì quel cambiamento, pur mantenendo la propria compostezza, fissando il bordo del piatto, alzando gli occhi solo di tanto in tanto verso Muna, seduta di fronte a lui, che gli lanciava uno sguardo veloce, come a chiedere:
«Mi stai ignorando, o hai paura del disagio?»
Numan tornò a guardarsi dentro per qualche secondo, immerso nei suoi pensieri… qualcosa, o forse qualcuno, lo chiamava silenziosamente, invitandolo a dialogare senza parole.
«Numan, giovane provinciale rigido… da quando sei arrivato a Damasco, le tue convinzioni hanno cominciato a vacillare senza che te ne accorgessi. La città, i negozi, i mercati affollati e rumorosi, i colori intensi… tutto scuote dentro di te basi che credevi solide.»
In un momento di silenzio tra un boccone e l’altro, Muna sussurrò:
«Sembra che tu non ami parlare mentre mangi… vero?»
Numan notò il suo sguardo nascosto dietro il velo della stanchezza e della fame, uno scintillio leggero di qualcosa di diverso… qualcosa che somigliava a una scusa non pronunciata.
Non serviva molta intelligenza a Numan per capire che quella ragazza dura non era più la stessa. Qualcosa dentro di lei si era spezzato, o forse si era piegato sotto il peso della fatica, o alla presenza silenziosa di lui che non pretendeva nulla, e che aveva risposto alla sua scortesia con una pazienza rara.
Muna, con il suo modo esitante di parlare, cercava di dire:
«Non sono come pensi…»
Numan, con la sua calma perspicace, percepiva quella voce silenziosa, e sorrideva senza aggiungere altro, limitandosi a riempirle il bicchiere d’acqua senza che lei chiedesse.
Numan sollevò lentamente lo sguardo, fermandosi per un attimo dal mangiare, e poi sorrise con gentilezza:
«Non proprio… credo solo di non saperlo fare bene, soprattutto in momenti improvvisi come questo.»
Lei sorrise leggermente, come se qualcosa di fragile dentro di lei si fosse incrinato. Non si aspettava una risposta così composta: senza rabbia, senza riserve, solo una cauta gentilezza.
Il silenzio che seguì era leggero, come se fosse tessuto da fiocchi di cotone che cadono timidamente. Muna, che un tempo si accendeva in fretta, sembrava ora misurare con attenzione le parole, come chi cerca la strada nel buio del proprio cuore.
Il signor Ahmad intervenne, ridendo:
«Muna, non mettere in imbarazzo il nostro ospite… è paziente, ma non ama le sorprese, come abbiamo visto ieri e nei giorni scorsi!»
Risero tutti leggermente, persino Muna, sebbene nella sua risata si percepisse ancora un’ombra di esitazione.
Poi lei lo guardò, stavolta senza asprezza:
«Ieri… e nei giorni precedenti ero molto arrabbiata. Ammetto che non mi sono comportata bene.»
Numan ripensò a quanto accaduto con Muna. Nonostante il senso iniziale di umiliazione, e il fatto che fosse stata la prima vera scossa personale al suo orgoglio silenzioso, qualcosa nel suo cuore si muoveva, vedendo le sfumature umane in lei: la stanchezza, la durezza coperta da una paura segreta, l’incapacità di esprimersi con gentilezza… e, insieme, le parole del padre sulla sua tragedia.
Fin dal loro ingresso al ristorante, Muna non era più la ragazza dura che lui ricordava. Era affaticata, la sua rigidità si era incrinata, e lui, cresciuto nel rispetto della «debolezza umana», anche quando presente in un avversario, non poteva girarle le spalle.
Voleva chiudere il conflitto prima che crescesse dentro di lui, tra il passato inflessibile e il desiderio naturale di concedere comprensione. Muna incarnava ora quel contrasto interno, e lui la ascoltava, non perché avesse abbandonato le proprie convinzioni, ma perché la vita gli insegnava una nuova lezione:
«I cuori non sono bianchi o neri, ma sfumature intrecciate di colore», come gli aveva detto il suo padrone un giorno.
Rispose al suo piccolo atto di scuse con un cenno rispettoso:
«Anch’io chiedo scusa… se ti è parso che abbia sminuito qualcosa a te caro… non era mia intenzione.»
Rimasero in silenzio per un momento, ma questa volta il silenzio era tranquillo, leggero, come se qualcosa di piccolo si fosse stretto tra due cuori.
Il cameriere si avvicinò, chiedendo se volessero del caffè. Muna disse:
«Se Numan non ha obiezioni, preferisco un caffè amaro.»
Numan sorrise con calma:
«Anch’io lo preferisco amaro… anche se di solito bevo quello dolce.»
Il signor Ahmad fece un cenno al cameriere:
«Allora, tre caffè amari… e per i dolci ci penso io.»
Muna rise, rivolgendosi al padre:
«Non c’è dubbio che ci ordinerai kanafeh o qualcosa di simile… come al solito.»
Lui le fece l’occhiolino:
«Solo per te… e per rimettere a posto ciò che le parole hanno guastato. I dolci aggiustano ciò che le parole rompono.»
Poi si rivolse a Numan con tono paterno e gentile:
«Che ne pensi? Non è un buon inizio?»
Numan rispose con un sorriso limpido:
«Se i cuori sono sinceri… ogni cammino è buono.»
Si alzò per lavarsi le mani, seguito dal signor Ahmad. Mentre l’acqua scorreva tra le dita, quest’ultimo disse:
«Dopodomani è venerdì… giorno di riposo. Lo trascorriamo insieme? Damasco ha luoghi che meritano di essere visti.»
Numan si asciugò il volto con un tovagliolo di carta e rispose:
«Ho qualche impegno dopodomani…»
Il signor Ahmad lo interruppe con un sorriso:
«Allora rimandali… Ti aspetto alle nove del mattino, nel solito posto. Non rifiutare, ti prego. Non hai visto quanto ci ha fatto piacere averti con noi oggi?»
Numan annuì silenziosamente, mentre tornavano al tavolo.
Quando lo accompagnarono vicino a “al-Hariqa”, prima che Numan scendesse dall’auto, Muna raccolse il coraggio e sussurrò quasi impercettibile:
«È passato in fretta… come se quel poco che è successo fosse l’unico momento che assomigli alla verità…»
Poi parlò a voce più chiara:
«– Grazie per la tua gentilezza oggi… e per la tua pazienza.»
Numan si voltò verso di lei, e nei suoi occhi comparve un calore leggero mai visto prima. Con tono calmo e rassicurante disse:
«Non c’è di che… anzi, sono io l’ospite oggi, e spetta a me ringraziarvi, non il contrario.»
Chiuse delicatamente la portiera e si allontanò a passo tranquillo, ma più leggero del solito, come se qualcosa nel suo cuore stesse muovendosi in un silenzio invisibile.
Entrando nel negozio, i suoi passi erano più quieti del consueto. Salutò con voce profonda, intrisa di un leggero sogno, e si diresse verso il tavolo delle stoffe, come se stesse cercando la via in una foresta di pensieri ancora inquieti. Le parole di Muna continuavano a rimbalzargli nella mente:
«È passato in fretta… come se quel poco che è successo fosse l’unico momento che assomigli alla verità…»
Il signor Abu Mahmud stava sistemando alcune fatture dietro la scrivania, in un angolo. Si voltò verso Numan e sorrise:
«– Sei arrivato un po’ tardi, ragazzo… ma il tuo volto dice che questo tempo non è andato sprecato.»
Numan rispose, aprendo l’altra porta del negozio:
«Sì… è stato un incontro diverso. Come se avessi visitato un luogo che non somiglia al solito.»
Abu Mahmud si avvicinò, posò la mano sulla sua spalla con delicatezza e disse:
«– Alcuni incontri assomigliano alla pioggia, Numan. Non sai mai quando arriveranno, ma lasciano qualcosa che non si dimentica.»
Numan abbassò lo sguardo, poi aggiunse con voce calda e un po’ malinconica:
«Com’è strana questa vita… a volte lo sconosciuto è più vicino del familiare.»
Abu Mahmud rise piano, con la sua solita serenità, e lo prese un po’ in giro:
«E cominci a vedere ciò che prima non vedevi? O i tuoi occhi sono diventati più sensibili?»
Numan non rispose subito. Si appoggiò al tavolo e cominciò a piegare alcune stoffe con calma, come se piegasse anche un po’ del suo stesso dubbio. Dopo un breve silenzio, disse:
«Muna… era diversa oggi. Meno dura… come se qualcosa fosse cambiato.»
Abu Mahmud, riordinando alcune carte, rispose:
«E forse sei tu a essere cambiato, Numan. A volte, quando ci calmiano dentro, cominciamo a sentire la voce dell’altro in un modo nuovo.»
Seguì un breve silenzio, interrotto solo dal fruscio preciso della stoffa piegata.
Numan sollevò lo sguardo e fissò la luce riflessa sulla vetrina, parlando quasi a se stesso:
«Non so esattamente cosa sia cambiato… ma non la guardo più come colei che mi ha ferito. C’è qualcosa… qualcosa che assomiglia al rimpianto nei suoi occhi, o forse sono io… io che comincio a leggerla diversamente.»
Abu Mahmud si avvicinò di nuovo, posò la mano sulla sua spalla con affetto e sussurrò, con tono vicino alla saggezza:
«Non temere di sentire, ragazzo. Il cuore che non si ammorbidisce… invecchia troppo presto.»
Poi tornò al suo lavoro, lasciando Numan immerso nei suoi pensieri, piegando l’ultimo pezzo di stoffa davanti a sé. Ma questa volta i suoi occhi si trattennero più a lungo sulla stoffa, forse perché il colore… ricordava quel maglione grigio che Muna aveva indossato quel giorno.
Perso in quel silenzio vellutato, il campanello sopra la porta suonò. Un cliente entrò, e Numan si scosse leggermente, ritornando subito al suo consueto sorriso, dirigendosi verso la vetrina. Ma il suo cuore non era più lo stesso di prima.
L’uomo era elegante, sulla quarantina, con un’ombra di stanchezza familiare a Numan, come se fosse appena uscito da una lunga giornata senza respiro. Numan lo salutò cordialmente, indicando il tavolo di stoffe:
«A tuo servizio… cosa ti piacerebbe vedere?»
L’uomo scorse i tessuti disposti ordinatamente:
«Cerco una stoffa che ricordi l’estate… leggera, ma con dignità.»
Numan sorrise, come se quella richiesta avesse toccato una corda dentro di lui:
«Abbiamo appena ricevuto un tipo nuovo… leggero, ma mantiene la sua forma, come chi conosce il proprio valore senza artifici.»
Estrasse un tessuto azzurro pallido e lo stese sul tavolo con delicatezza. La mano del cliente scivolò sulla stoffa, accarezzandola in silenzio, poi disse:
«È come l’ombra di una nuvola sul mare.»
Numan annuì, senza commentare. Dentro di sé sentì un senso nuovo delle parole, come se capirle riorganizzasse i luoghi stessi del cuore. Quel momento, con tutta la sua semplicità, assomigliava a storie che iniziano senza clamore.
Mentre il cliente si concentrava sulla scelta dei colori, la voce del signor Abu Mahmud arrivò da dietro:
«Non sottovalutare i piccoli momenti, Numan… sono quelli che trasformano un giorno ordinario in un giorno che vale la pena raccontare.»
Numan rispose senza voltarsi:
«Può davvero la vita cambiare per uno sguardo? O una parola detta senza ordine?»
Il signor Abu Mahmud si avvicinò alla vetrina ridendo:
«La vita stessa a volte comincia con un errore di stampa… o un punto messo al posto sbagliato.»
Poi guardò il cliente con un sorriso birichino:
«E qualche volta, con un punto non perfetto.»
Risate leggere riempirono la stanza, e l’atmosfera divenne familiare e calda. Il cliente scelse la quantità di stoffa necessaria, pagò, lasciò il suo indirizzo su un biglietto e se ne andò, salutando:
«Mi aspetto che la merce arrivi domani.»
La quiete tornò nel negozio, ma era una quiete diversa… intrisa di un profumo nuovo, come l’odore della pioggia alla prima folata che accarezza la terra secca.
Numan si sedette dietro il banco e iniziò a scrivere qualcosa in un piccolo taccuino nascosto nel cassetto inferiore. Con la mano inclinata tracciò parole sobrie:
“Oggi ho sentito che i cuori non guariscono da soli… devono essere toccati da qualcuno, con una parola, o con una gentilezza inattesa.”
Chiuse il taccuino, appoggiò la schiena al muro e nei suoi occhi… qualcosa del suo sogno stava iniziando a germogliare.
La mattina seguente, il sole stava appena scalando il cielo, e l’aria conservava ancora il fresco delle prime ore. Numan si trovava davanti alla vetrina del negozio, sistemando con cura le stoffe, quando entrò un ragazzino, che teneva tra le mani un pacchetto elegante, stretto contro di sé.
Il ragazzo si avvicinò con cautela e, con voce bassa, disse:
– “Zio… una signorina mi ha dato questa lettera e ha detto di portarla a te.”
Numan allungò la mano e prese il pacchetto, sorpreso. Chiese al bambino:
– “Chi te l’ha data?”
Il ragazzino rispose con spontaneità:
– “Una ragazza un po’ alta, capelli neri legati… stava all’angolo della strada. Non ha detto il suo nome, ma ha detto che saprai chi è.”
Numan ringraziò il piccolo e gli porse un dolcetto dal banco, poi aprì lentamente la busta. All’interno c’era un piccolo foglio, scritto con una calligrafia elegante:
“Non tutti i nostri inizi sono perfetti… ma alcuni momenti riordinano il nostro interno. Grazie per non essere stato crudele. – M”
Il cuore non aveva bisogno di un nome completo; sapeva bene a chi erano rivolte quelle lettere. Ripose con cura il foglio, e guardò attraverso il vetro verso l’angolo indicato… deserto, se non per l’ombra di un albero che danzava nel vento.
Tornò al suo banco, sedendosi sulla sedia di legno, fissando la lettera, e sorrise per la prima volta quella mattina… un sorriso leggero, caldo, carico di un ringraziamento appena percettibile.
In quel momento entrò il signor Abu Mahmud, e Numan si scosse, nascondendo rapidamente il foglio.
– “Buongiorno, Haj!’’
– “Buongiorno ai cuori sereni! Ma perché sorridi da solo? Hai fatto un sogno bello?”
Numan rise timidamente:
– “Forse… o forse è semplicemente un nuovo giorno che merita un sorriso.”
Il signor Abu Mahmud si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla:
– “Forse stai iniziando un nuovo capitolo, ragazzo… scrivilo con cura, ma senza esitazioni.”

Sulle soglie del sogno 02

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